Tu sei qui: AttualitàLa cucina tradizionale della Costa d'Amalfi: Spaghetti con la Colatura di Alici di Cetara
Inserito da (admin), giovedì 1 dicembre 2016 22:34:26
di Sigismondo Nastri In un post di Secondo Squizzato leggo che, da domani a domenica, c’è a Cetara la "festa della colatura di alici". L’occasione mi spinge a riproporre alcune riflessioni sull’argomento, che ebbi modo di fare già nove anni fa, suscitando una piccola discussione. Dicevo allora – e lo ribadisco, rendendogliene merito - che l'utilizzo della colatura "a crudo", in emulsione con l’olio, quale condimento degli spaghetti, è stato recuperato e valorizzato, in tempi abbastanza recenti, dai ristoratori di Cetara. Esso "nobilita" un ingrediente che, se pure storicamente in relazione col garum degli antichi romani, da noi ha origini più o meno "plebee". La colatura, risorsa gastronomica tipica di questo paese della Costa, strettamente legata alle sue attività di pesca e di conservazione delle alici, è il liquido sprigionato dalla maturazione delle alici messe sotto sale nelle botticelle di legno. Liquido che, filtrato, sterilizzato (una volta lo si faceva con l’esposizione al sole), viene poi conservato in una bottiglia, oggi chiusa ermeticamente (il prodotto si acquista confezionato). Ai tempi della mia infanzia, se il ricordo non mi tradisce, la bottiglia era tenuta senza tappo, protetta da un ciuffetto di origano infilato dentro e da un cono di carta capovolto sul collo. Condivido quello che mi scrisse, da Milano, l’amico Riccardo Tajani (una vita da direttore d’albergo, anche prestigiosi): "Ho avuto modo di parlare con qualche amalfitano, ma non ho trovato tracce nei menu familiari di questo condimento. La mia immaginazione mi spinge a fantasticare e vedo la donna di casa che non sa come condire il piatto di pasta e li ‘mbruscina nel tegame con l’odore della colatura di alici". Io insisto nel sostenere che, una volta (mi riferisco al tempo della guerra e dell’immediato dopoguerra), questo era un piatto povero, da consumare se non c’era di meglio; fuori lo potevi trovare in qualche bettola, oggi invece è considerato una sciccheria ed ha un posto d’onore anche in qualificati, e raffinati, menu. Avendo un profumo aspro e penetrante, bisogna usare la colatura con molta parsimonia. Per condire, ad esempio, mezzo chilo di spaghetti ce ne vorrà un cucchiaio o poco più. Secondo i ristoratori cetaresi, e non solo, è da gustare cruda, mescolata a purissimo olio extravergine d’oliva, qualche cucchiaiata di acqua di cottura della pasta, uno spicchio d’aglio, un po’ di peperoncino piccante. Semplicissimo. Quando io affrontai il discorso della colatura (su mondosigi.com), il mio amico Massimo Bignardi, appassionato di gastronomia oltre che apprezzato storico dell'arte, mi ricordò che il metodo "a crudo" corrisponde ad un uso diffuso, in più tradizioni, di simili intrugli, come quello che in Marocco usano per condire gli ortaggi o il cuscus, o quegli altri, pure a base di pesce, utilizzati in Venezuela per le empanadas o per il pollo en brasa. "Mia madre - aggiunse Massimo - mi racconta che la colatura la usavano a Minori per condire i 'birboni', i cavolfiori, finanche le patate e, soprattutto, la verza: sempre prima dell'olio e senza sale". E concluse: "la ricetta 'a crudo' esalta il profumo: l'aglio sfritto omologa i sapori". Niente da eccepire, d’accordo. Achille Talarico, nel suo libro "Gastronomia salernitana di ieri e di oggi" (Ed. Verso il 2000, 1968) riporta due ricette: "spaghetti alla colatura cruda" e "spaghetti alla colatura cotta". Io, un po' per anticonformismo, un po' perché mi richiama il tempo dell'infanzia e della prima adolescenza, privilegio questo secondo procedimento. Che poi è lo stesso degli spaghetti "aglio e olio". Solo che, una volta tolta la padella dal fuoco, prima che lo sfrigolìo cessi del tutto, vi si versa la colatura (un cucchiaino per ogni porzione di spaghetti) con un po’ d’acqua di cottura della pasta, se occorre, facendo attenzione a non fare schizzare l’olio caldo. Sono convinto che, per questa preferenza, mi prenderò delle mazziate. "De gustibus non est disputandum", dicevano gli antichi romani: ognuno è libero di avere propri gusti. Resta il fatto che neppure la metto in pratica questa ricetta della colatura cotta, perché l'odore intenso che sprigiona non sarebbe tollerato a livello familiare, come non detto, perciò. Vale solo per la memoria storica. Per quanto riguarda l'utilizzo a crudo, trovai interessante (la trassi dal web) la ricetta proposta dall'Istituto professionale alberghiero di Roccaraso: passare al mixer pinoli, colatura d'alici, olio e aglio per ottenere una salsa densa. Lessare la pasta, scolarla leggermente, aggiungere il composto, una manciata di prezzemolo e profumare con bucce di limone. Particolare importante: sia che si scelga una modalità di preparazione o l'altra, gli spaghetti vanno sempre lessati in acqua non salata. Una volta conditi basterà aggiungere, se necessario, ancora poche gocce di colatura per portarli al giusto grado di sapidità. A prescindere da questa simpatica polemica, per chi ne ha la possibilità, non perdete l'occasione di raggiungere il piccolo borgo della Costa d'Amalfi per vivere la festa "Alla riscoperta degli antichi sapori" in modo da avere un'idea precisa del prodotto e potervi esprimere nel merito.
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