Tu sei qui: CulturaRiflessioni notturne sulla lingua napoletana
Inserito da (admin), giovedì 18 gennaio 2018 22:53:59
tratto da un post social, pubblicato in orario fuori dalla fascia protetta, di Sigismondo Nastri Mi piace scrivere in napoletano. Sono convinto di riuscire a farlo abbastanza bene. Mi arrabbio quando vedo maltrattata e storpiata quella che considero la mia prima lingua: nelle insegne dei negozi, negli avvisi, nella pubblicità, nei testi delle canzoni, nelle citazioni in libri e giornali. Un giornalista che stimo molto, Pietro Gargano, nella sua rubrica quotidiana sul Mattino, "La posta dei lettori", ha pubblicato una lettera di Umberto Franzese che accenna al progetto di legge regionale – dubito che l’approvazione, se ci sarà, possa avvenire in tempi brevi - per la salvaguardia e la tutela della lingua napoletana. Salvaguardia e tutela che, secondo me, non possono prescindere da un’autorità affidabile, sul modello dell’Accademia della Crusca. Avrebbero potuto farsene carico le università, non ci hanno pensato. O non hanno avuto strutture, mezzi e, magari, professionalità per occuparsene. Oggi il napoletano, pur disponendo di grammatiche e vocabolari, non ha regole certe, condivise. Anche in letteratura - Di Giacomo, Bovio, Russo, Viviani, ecc. - ci sono differenze nel modo di scrivere. E non cito, volutamente, Eduardo De Filippo. Sono d’accordo con quello che riferisce a Gargano Luigi Piccirillo: "I dialetti vanno scritti, altrimenti si estinguono. Il guaio è che molti parlano il dialetto, ma non sanno scriverlo, perché è lingua dotta. Allora spetta alla scuola (università compresa) consegnare ai giovani il patrimonio scritto, affinché la lingua non vada perduta". Giusto, a patto che questo compito venga affidato a chi ne ha la necessaria competenza. Perché spesso, da noi, vince l’improvvisazione.
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