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Napoli, 7 settembre 1860: il balcone da cui si affacciò Garibaldi

Inserito da (admin), lunedì 7 settembre 2015 15:10:56

di Antonio Lombardi Sono passati centocinquantacinque anni dall'ingresso di Garibaldi a Napoli. Il 7 settembre 1860 rappresenta l'inizio della più grande sofferenza dei circa tremila anni di storia della città. Non era certo la prima invasione che Napoli subiva, ma questa aveva qualcosa di più subdolo e mortificante. Accanto alle classiche tristi caratteristiche che tutte le occupazioni recano con sé (dep...redazione della ricchezza, degrado dei beni culturali, imposizione di regole vessatorie), vi era infatti un'operazione di abbattimento dell'autostima del popolo e dell'immagine esterna dell'area occupata, senza precedenti nella storia locale. Il tutto, poi, condito con la maldestra giustificazione dell'unificazione di un territorio che non aveva alcuna vocazione culturale verso di essa. Lo strumento principale utilizzato per raggiungere l'obiettivo del completo asservimento di tutti i Duosiciliani e non solo dei Napoletani -accanto alla violenza delle armi- fu di tipo pedagogico: educare all'inferiorità lasciando credere di essere stati liberati da una condizione di svantaggio. In realtà il Regno delle Due Sicilie fu il comodo salvadanaio da scassinare e abbandonare al suo destino. La capitale, che godeva di fama mondiale per la bellezza del paesaggio, la dovizia dei monumenti e la fecondità culturale, doveva pagare il prezzo più alto. Non stupisce, dunque, che a 155 anni di distanza continui questa educazione alla svalutazione della propria identità e della propria storia, e persista -con la complicità attiva di una classe politica locale ben formata al tradimento del proprio popolo- l'emarginazione economica e sociale di quello che fu un grande Stato e un grandissimo popolo. Ma tutte le oppressioni hanno un inizio ed una fine. Io penso che stia maturando, passo dopo passo, il tempo in cui dal Tronto a S. Maria di Leuca e da Fondi a Lampedusa (gli antichi vertici del Paese) la gente si impegni in una corale, convinta e tenace lotta nonviolenta, come frutto e radice di un'autentica liberazione della mente e della vita quotidiana. Sarà il segno che il popolo del cosiddetto "Sud" si sta amando, perché l'amore genera la sovversione, genera l'assunzione diretta della responsabilità di stare nel conflitto, di agire dal suo interno con una forza più potente della violenza. Non so se riuscirò a vedere quei giorni, ma percepisco che i semi che stanno piano piano germogliando, fanno già capolino nel terreno della storia.

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