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Moda, Alviero Martini commissariata per caporalato

I carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano hanno dato esecuzione a un decreto di amministrazione giudiziaria emesso dal tribunale di Milano - sezione Misure di prevenzione su richiesta della procura a carico dell'azienda del lusso

Inserito da (Redazione Nazionale), mercoledì 17 gennaio 2024 17:38:58

Il mondo della moda e del lusso, proprio nei giorni della fashion week, viene colto all'improvviso da una notizia che vede una tra le più rinomate aziende del settore, Alviero Martini, celebre per la sua stampa 'mappamondo' che ha reso conosciuto il brand in tutto il mondo, denunciata per caporalato.

Sono stati i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano a dare esecuzione ad un decreto di amministrazione giudiziaria emesso dal tribunale di Milano - sezione Misure di prevenzione su richiesta della procura a carico di Alviero Martini, ritenuta dai magistrati:

"Incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nel ciclo produttivo non avendo mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative ovvero le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato".

Prosegue la nota:

"Si è potuto accertare che la casa di moda affidi, mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l'intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi, in questo caso a opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere a loro volta i costi con l'impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento facendo ricorso a manovalanza 'in nero', non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i contratti collettivi nazionali lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie".

In questo specifico caso, il Nucleo ispettorato del lavoro di Milano - a partire da settembre del 2023 - ha effettuato accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda procedendo al controllo dei soggetti affidatari degli appalti nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti da opifici gestiti da cittadini cinesi nelle province di Milano, Monza e Brianza e Pavia. Negli otto opifici controllati, tutti risultati irregolari, sono stati identificati 197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e clandestini sul territorio nazionale".

Le irregolarità accertate negli stabilimenti di produzione sono svariate: pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri.

Tutto questo in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro: omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione ed ospitando, altresì, la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico.

Sono stati denunciati per caporalato dieci titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese nonché 37 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale.

Infine sono state comminate ammende pari a oltre 153.000 euro e sanzioni amministrative pari a 150.000 euro e per sei aziende è stata disposta la sospensione dell'attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero.

L'indagine della Procura di Milano che ha portato a disporre l'amministrazione giudiziaria per l'azienda dell'alta moda Alviero Martini spa, ha appurato:

"Una connessione tra il cosiddetto mondo del lusso da una parte e quello di laboratori cinesi dall'altra, con un unico obiettivo:

abbattimento dei costi e massimizzazione dei profitti attraverso l'elusione di norme penali giuslavoristiche".

Lo si legge nel provvedimento della sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Milano che ha disposto il commissariamento dell'azienda su richiesta del pm Paolo Storari.

Nel provvedimento si nominano gli amministratori giudiziari, Marco Mistò e Ilaria Ramoni, e si fissa l'udienza per il prossimo 9 aprile per discutere della questione, il pubblico ministero sottolinea la presenza di un doppio binario: da un lato un'organizzazione che rispetta le regole, dall'altro una struttura, "informale, volta a seguire le regole dell'efficienza e del risultato. In questo modo, la costante e sistematica violazione delle regole genera la normalizzazione della devianza, in un contesto dove le irregolarità e le pratiche illecite vengono accettate ed in qualche modo promosse, in quanto considerate normali".

Una 'devianza' che avviene attraverso l'affidamento dell'intera produzione a opifici cinesi, con "ambienti di lavoro fortemente degradati e condizioni lavorative sotto minimo etico" il tutto "avvalendosi di forza lavoro clandestina", riuscendo così a garantire la produzione alla metà del costo concordato.

L'accusa di 'omesso controllo' ha come obiettivo "la compressione del costo del lavoro e l'eliminazione dei costi della sicurezza": in uno dei capannoni controllati a Trezzano sul Naviglio, ad esempio, il 24 maggio scorso un lavoratore in nero è rimasto vittima di un infortunio mortale a causa di uno schiacciamento provocato dalla caduta di un macchinario di lavoro e si è provato a correre ai ripari assumendolo nella stessa mattinata del decesso.

Non solo: le indagini dei carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano hanno svelato retribuzioni pari a 6,25 euro l'ora ovvero un importo assolutamente sotto soglia rispetto al Ccnl di categoria o la pratica vietata di lavoro a cottimo, ma anche la "totale inosservanza della normativa in materia di orario di lavoro, riposi e di quanto altro previsto dalla contrattazione collettiva. Gli opifici sono usati anche come dormitori e le indagini svelano anche la forte produzione in orario notturno evidentemente legato all'esigenza di evitare i controlli da parte degli organi di vigilanza che si concentrato negli orari d'ufficio".

Il tema della filiera, a chi si affidano i lavori: a laboratori, dove gli operai venivano pagati 1,25 euro a tomaia, facendo dormire i lavoratori, durante la settimana, sopra la ditta al piano primo presso locali adibiti a dormitorio, percependo un bonifico mensile di circa 600 euro che paga il titolare che produce tomaie per l'azienda Alviero Martini.

Sono diverse le testimonianze raccolte e rilasciate dagli stessi lavoratori cinesi impiegati negli opifici che avrebbero lavorato per produrre per conto dell'azienda di alta moda, sottoposta oggi ad amministrazione giudiziaria dai giudici Roia-Rispoli-Cucciniello, nelle indagini per sfruttamento del lavoro del pm di Milano Paolo Storari.

Stando alle indagini, per un prodotto venduto sul mercato a 350 euro l'opificio cinese si sarebbe fatto pagare 20 euro.

Seguendo la catena dei subappalti della produzione, poi, l'azienda di alta moda, secondo gli investigatori, avrebbe pagato il prodotto finale 50 euro. Venduto, poi, a 350 euro.

Nel provvedimento, in base alle indagini effettuate e illustrate dal pm nella sua richiesta di commissariamento, si spiega che "i grandi marchi, tra cui anche quello della Alviero Martini SpA, mostrano una generalizzata carenza di modelli organizzativi" e che il brand di moda "nel momento in cui si avvale di soggetti che sono dediti ad un pesante sfruttamento lavorativo integra la condotta agevolatoria.

In Alviero Martini SpA vi è una cultura di impresa gravemente deficitaria sotto il profilo del controllo, anche minimo, della filiera produttiva della quale la società si avvale e si è disvelata una prassi illecita così radicata e collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d'impresa diretta all'aumento del business. Le condotte investigate non paiono frutto di iniziative estemporanee ed isolate di singoli, ma di una illecita politica di impresa".

Secondo il Tribunale:

"Unico strumento per far cessare questa situazione, in un'ottica di interventi proporzionali, è una 'moderna messa alla prova aziendale'"

Quello che emerge è che la merce venduta dai canali ufficiali del marchio di alta moda esce a 20 euro da un opificio cinese che in laboratori-dormitorio sfrutta sotto costo la manodopera di connazionali senza regolare permesso di soggiorno, quindi viene prezzata a 30 euro dall'altro subappaltatore interposto con la società appaltatrice ufficiale; la quale fattura a sua volta la borsa a 50 euro al brand di alta moda, che la mette in vetrina in negozio a 350 euro.

La società di alta moda non è indagata, ma per il tribunale di Milano Tribunale, le criticità emerse nei confronti dei lavoratori impongono che un'impresa come Alviero Martini:

"Rappresentativa del 'Made in Italy' tanto apprezzato all'estero, ed avente rilevanti dimensioni, possa adeguare i presidi di controllo interno in modo da evitare che la filiera produttiva si articoli attraverso appalti e sub appalti con realtà imprenditoriali che adottino le illecite condizioni di sfruttamento dei lavoratori, rafforzando i presidi relativi alle verifiche reputazionali dei fornitori dell'azienda.

Le ispezioni negli opifici cinesi di Castano Primo, Pieve Emanuele, Grezzago, Villanova d'Ardenghi (Pavia) e Caponago (Monza Brianza) restituiscono, indici di sfruttamento dei lavoratori. Diversi in condizione di clandestinità, si trovavano in situazioni abitative degradanti, ricavate all'interno degli stessi luoghi di lavoro, con ambienti abusivi ed insalubri, pericolosi per al loro salute e sicurezza".

Alviero Martini - dal canto suo - con una nota stampa, chiarisce la sua posizione dopo che il tribunale di Milano ha disposto per la società di moda l'amministrazione giudiziaria:

"Con riferimento alla notizia di stampa riferita alla nostra società l'Alviero Martini comunica di essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità preposte, non essendo peraltro indagati né la società né i propri rappresentati, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori, il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro.

Alviero Martini ribadisce che tutti i rapporti di fornitura sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori al cui rispetto ogni fornitore è vincolato. Laddove emergessero attività illecite effettuate da soggetti terzi, introdotte a insaputa della società nella filiera produttiva, assolutamente contrari ai valori aziendali, si riserva di intervenire nei modi e nelle sedi più opportune, al fine di tutelare i lavoratori in primis e l'azienda stessa"conclude la nota.

 

Fonte foto: pagina FB Alviero Martini (entrambe)

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